Di Francesco Zevio
Disegno copertina: Diletta Andreini (@dilettaand)
*Articolo pubblicato il 17/11/2018 sulla pagina Facebook
Leggo con un po’ di dispiacere gli articoli pubblicati da Dario Calimani per la prossima messa in scena, a Venezia, di uno spettacolo incentrato sulla figura di Ezra Pound [1]. Se il professore Calimani denuncia, a ragione, il fatto che “[…] pochi leggono Pound ma molti lo esaltano, senza averlo letto, per il solo fatto che lo sentono vicino ai loro ‘ideali’ politici”, a leggere certe affermazioni contenute nei suoi interventi bisognerà riconoscere al professore che, a differenza di questi ultimi, in decenni e decenni di attività accademica egli abbia probabilmente letto qualcosa di Pound. Qualcosa ha letto, va bene: capendoci però gran poco, o quasi niente… o ancora, molto più semplicemente, capendo solo quello che voleva capirci.
Questo perché, dal contenuto dei suoi articoli, quella di Ezra Pound si presenta come una figura unidimensionale, mentre ciò che contraddistingue tale personaggio è proprio la sua complessità: e se la sua opera poetica e critica vengono in qualche modo salvate, il suo pensiero viene decisamente bollato dal professore come quello di un “[…] antisemita fino all’osso, Pound è stato un grande poeta, un critico che merita di essere letto ma senza grandi entusiasmi, un uomo la cui visione politico-economica ha mostrato la ristrettezza del suo pensiero e tutta la grettezza della sua umanità.” [2]. Nessuno mette in dubbio il fatto che Pound, per esempio, contasse come ospiti al St. Elizabeth gente come John Kasper e David Wang; ma scrivere semplicisticamente, come fa il professor Calimari, che “[…] la sua cerchia di amici quotidiani” fosse composta“[…] da giovani fan abbigliati da neonazisti” trasmette l’idea di un qualche circolo o salotto neonazista, senza assolutamente rendere conto di altri visitatori come T. S. Eliot, E. Cummings, Robert Lowell, Marianne Moore, Marshall McLuhan, Elizabeth Bishop, Stephen Spender, Ronald Duncan e via di seguito: che personalmente fatico a immaginare come abbigliati da neonazisti (Eliot e McLuhan in particolare) [3]. Questa è solo una delle numerose semplificazioni contenute negli articoli del professore.
Pound è una figura complessa e contraddittoria, una figura che non ha mai smesso di evolvere: e come tale deve essere affrontata, se si vuole affrontarla con spirito critico, altrimenti non è proprio il caso di parlarne – e ciò vale sia per chi si lo esalti, sia per chi lo denigri [4]. Questa ultima compagine, a maggior ragione, dovrebbe evitare certe operazioni di etichettatura ideologica: e questo perché un confronto critico e spassionato con la figura di Ezra Pound sarebbe uno dei modi più efficaci per provare la pochezza intellettuale di posizioni riconducibili ad antisemitismo, razzismo e altri simili surrogati ideologici. Come messo in luce, tra gli altri, da William Cookson, nei suoi ultimi anni Ezra Pound mostra un disgusto e un rigetto viscerale per il linguaggio e la violenza delle sue posizioni passate: e questo perché, cercando qui di riassumere moltissime cose in pochissime parole, gli riuscì finalmente di rinunciare alla propria vanità, ai propri mean hates [5]. Pound è un libro che va letto fino alla fine, altrimenti non lo si comprende. Il suo itinerario intellettuale potrebbe insegnare molto ai giovani che si sentono attratti verso destra, magari permettendo loro di non fossilizzarsi su certe posizioni e non abbracciare acriticamente certe grossolanità ideologiche – quindi insegnare loro a porsi qualche domanda, evitare di compiere errori e magari correggere la rotta prima di raggiungere l’età di ottanta anni. Ars longa, vita brevis: perché non tentare di imparare dagli errori di chi visse prima di noi? Alcune domande a proposito di Pound che potrebbero scuotere qualche simpatizzante dell’estrema destra sono, per esempio, le seguenti: perché, dopo il linguaggio e la retorica antisemita degli interventi di Radio Roma, durante il colloquio con Allen Gingsberg, Pound afferma che“[…] il peggior errore che ho commesso era quello stupido, suburbano pregiudizio di antisemitismo”? Perché, dopo aver parlato di usura e Jews in London, nella introduzione a una sua raccolta pubblicata nel 1972 afferma “nelle frasi che si riferiscono a gruppi o razze il ‘loro’ deve essere usato con grande cura […] riguardo l’usura, avevo mancato il bersaglio, prendendo un sintomo per la causa. La causa è l’avarizia”? [6] Se un giovane fascista o presunto tale nutre davvero una autentica ammirazione nei confronti di Pound, non può evitare di porsi queste e altre simili domande. La vicenda di Pound è uno dei migliori rimedi per guarire da certe malattie ideologiche legate agli estremismi di destra: piuttosto che anatemizzare il suo pensiero come quello di “[…] un uomo la cui visione politico-economica ha mostrato la ristrettezza del suo pensiero e tutta la grettezza della sua umanità”, bisognerebbe tematizzarne gli aspetti ed i problemi più controversi. Davvero il professor Calimani è convinto che, salvo qualche poesia e un po’ di critica che merita “[…] una nicchia museale”, tutto il pensiero di Pound sia da buttare alle ortiche?
Come messo in luce da Pasolini nel Frammento VI: Praga della sua opera Bestia da stile, e come esplicitamente affermato nel resoconto di un dibattito intitolato Volgar’eloquio, vi sono tutta una serie di temi che “[…] è assurdo che diventino appannaggio dei fascisti; sono valori, temi, problemi, amori, rimpianti che in fondo valgono per tutti; se ne sono appropriati i fascisti per ragioni retoriche, per sfruttarne il senso” [7]. Una autentica operazione intellettuale sarebbe quella di eviscerare e trattare criticamente questi valori, temi, problemi e così via, liberandoli dalla scoria retorica fascista – così da rompere definitivamente con questo appannaggio. Ed ecco un’altra domanda interessante: perché anche Pasolini, che certamente non era un giovane agghindato da neonazi, prova a comprendere Pound? Perché, molto probabilmente, non trattò il poeta americano come un semplice fascista, ma comprese che nella sua opera (intellettuale!) erano presenti valori, temi, problemi e via di seguito che valeva la pena portare avanti [8]. Presentando la figura di Pound in questo modo fazioso, il professor Calimeni sta precisamente operando quella “[…] inquietante censura sulle plurali verità di cui si costituiscono cultura e civiltà […]” da lui denunciata. Ancora una volta: Pound è un libro da leggere fino al punto finale, fino a quel to be men not destroyers che davvero completa e trasmette la tragica immagine della sua esperienza umana ed intellettuale – e chi non ha voglia o tempo per farlo, sia esso un iscritto a neopartiti o un professore di università, dovrebbe evitare di sparare sentenze. Per concludere, gioverà forse ricordare che il mondo è complesso e chi si sforza di pensare, di vivere il proprio tempo senza lasciarsi semplicemente trascinare, è complesso – e questo perché cerca di capire sé e il mondo in cui vive. Il lavoro intellettuale è proprio quello di sondare, setacciare, indagare, tenere sempre sotto osservazione questa complessità – certo non eluderla, non negarla con formule semplicistiche. F. Zevio, an Erinnerung eines Vesprechens
NOTE:
[1] Uno degli articoli a questo link: http://moked.it/blog/2018/11/13/pound/?fbclid=IwAR0nghAJ8YinW8OdizbDOeq3-qVgKujcxRAv_VYBWDIB2biHJpwbbT0ucSI. L’altro è uscito il 15 Novembre per il Gazzettino, ed è consultabile a questo link:https://www.ilgazzettino.it/pay/venezia_pay/a_giorni_a_venezia_il_teatro_stabile_del_veneto_e_la_regione_omaggeranno_ezra-4108909.html .
[2] Personalmente, non riesco a concepire come sia possibile essere “grandi poeti” dimostrando ristrettezza di pensiero e una gretta umanità.
[3] Si confronti E. Fuller Torrey, The Roots of Trahison (p. 219 e seguenti); o ancora Humprey Carpenter, A Serious Character (p. 725 e seguenti).
[4] Un esempio di questa costante contraddizione, soprattutto negli anni del St. Elizabeth, emerge dai resoconti delle visite di amici e visitatori: uno dei più emblematici e controversi è quello consegnatoci da Charles Olson, documento che va certamente letto alla luce della sua storia personale.
[5] “Odi meschini”: riferimenti al Canto LXXXI, letto anche da Pasolini in occasione del suo incontro con il poeta Americano. In Cookson troviamo scritto: “in these last cantos [i.e. CX - CXVII], with Pound’s late realization of “many errors” […] in his old age Pound had come to hate the violent language he had used to express the certitude of his convictions, particularly in politics where he now realized he had often been wrong – the horror of the Nazi death camps, that he had once thought fictions of propaganda, began to prey on his mind” (W. Cookson, A guide to the Cantos of Ezra Pound, p. 263).
[6] Per il colloquio con Gingsberg cfr. Humprey Carpenter, A serious Character, p. 897 e seguenti; la introduzione scritta di suo pugno dal poeta, in data 4 Luglio 1972, è per il volume Ezra Pound, Selected Prose, edita da Faber&Faber.
[7] Il testo continua: “in realtà sono temi di tutti, però in tutti noi, in chi è progressista e democratico e vuole andare avanti, questi temi sono una specie di palla al piede, di ‘pesante fardello’ come dice il protagonista, che quindi in un certo senso lo scarica sulle spalle di un giovane dicendo: cambia il tuo modo di essere fascista; avanti, dice, certo non con camicia nera, né camicia bruna, semmai camicia grigia. Suggerisce la possibilità di una destra, in cui inglobare un’infinità di temi che sono in realtà di tutti quanti […] questo frammento comincia appunto con l’incitazione a questo giovane di destra, di questa destra che però non esiste […]”.
[8] A questo proposito, interessante quanto scritto dall’intellettuale friulano in un articolo dedicato a Pound e Campana, contenuto in Descrizioni di descrizioni.
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