Cari amici, vi segnaliamo con piacere ed orgoglio l'uscita del libro di poesie del nostro Francesco Zevio.
Lo potete acquistare online nel sito http://www.robinedizioni.it/nuovo/suite-dei-mondi
Di seguito troverete un breve assaggio della raccolta.
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DALLA PREFAZIONE A CURA DEL POETA SILVIO RAFFO
IL MOSTO PURO
Sa quasi di miracolo, nel diciottesimo anno del terzo millennio, leggere dei versi come questi di Francesco Zevio:
Amare, senza pensieri
amare ed essere amati.
Senza volgersi a ciò che fu ieri
ai giorni a venire, o andati […]
Una quartina rimata ABAB, il quarto verso rientrante, come soleva fare Giovanni Prati. Un “contenuto” leggibile e insieme cantabile. Comprensibile (qualche maligno potrebbe dire “quasi corrivo”, ma tutti sembrano ormai ignorare che la verità è semplice). La Poesia che ritorna bella. Oggi è più o meno un sacrilegio qualcosa che in arte abbia a che fare con la Bellezza, con il canto. Bisogna omaggiare la bruttezza, il deforme, l’osceno.
Francesco Zevio osa intitolare i suoi testi “Roma Amor”, “Vesperidi”, “Desiderium” (con piena consapevolezza etimologica e in aperto rapporto con la Sehnsucht romantica); le sue sezioni “Altrove”, “Suite mediterranea”, “Latium” (anche qui con piena consapevolezza mitico-etimologica); osa scrivere un distico di arditezza rimbaudiana e visionarietà preraffaellita: “abbandonandosi alla Poesia / come Ofelia alla sua morte”. Nel suo canzoniere si torna “[…] a bere da sguardi / celesti di desiderio” (ancora il vocabolo galeotto che allude al perno fondamentale dell’Eros e della Poesia di ogni tempo). Nel tessuto vellutato dei suoi arazzi vibrano interrogazioni estatiche e palpitanti: “[…] non è forse perfetto / il Mondo, in quest’istante?” in cui riecheggia addirittura Anna Achmatova (“Questa vita è perfetta”), affiorano dal vortice abissale delle emozioni constatazioni inquietanti: “e quasi mi distrugge la Bellezza […]”.
Il variegato canzoniere è vegliato da un distico di Shelley: “I am the Eye with which the Universe / beholds itself, and knows it is divine” (sono l’occhio attraverso cui l’Universo / contempla sé stesso, riconoscendosi divino). Sì, siamo proprio out of Time, in piena temperie romantica: ma non è forse questa la vera temperatura di ogni poesia, di ogni creazione artistica in cui trascendente e immanente (e come potrebbe essere altrimenti?) si identificano e si con-fondono?
Ci troviamo di fronte a un documento prezioso e insolito di partecipazione all’atemporalità della rêverie bachelardiana: tempo e spazio presenti e insieme trascesi dall’Altrove e dall’Eterno. La magia delle parole arcanamente rilucenti, come accadeva nei responsi degli oracoli, include l’illuminazione sapienziale: “Solo chi molto ama ha il diritto / del Disprezzo”; o ancora “[…] l’intera stirpe nasce dal respiro / di un sol uomo – e lo spirito fermenta / nel dolore”.
In questa fosforescente SUITE DEI MONDI, “romanza provenzale”, “bohéme musicale” e insieme cosmico caleidoscopio la cui vera cifra è la multiforme Armonia del Bello, possiamo assaporare quel liquor never brewed cui fa cenno Emily Dickinson. Qualcosa di mirabilmente inattuale, inebriante e catartico. Il mosto puro.
Silvio Raffo
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TRENO NOTTURNO
Genova-Marsiglia
I tronchi delle acacie avvolti d’edera
s’alternano nel buio a ferro e acciaio –
il polline profuma l’aria tenera
di fuori… ma qui, nel mio scompartimento, un paio
di turisti avvelenano il silenzio.
Altrove è l’usignolo e il suo sgolarsi
di cristallo – l’arcano tuo segreto
che l’animo rapisce in sua catarsi
oh notte, domatrice dello spirito inquieto,
cola altrove il tuo nettare concreto…
e il treno corre cieco oltre i binari
e addenta le città e le fitte tenebre
con stridere di freni e macchinari –
arde solitario tra rotaie il fior di Cerere
e sua figlia, regina d’ombre e cenere.
Trapassano nel buio, ad una ad una,
lucciole al neon dal fascino perverso –
notte ottobrina, tiepida di bruma,
Febo tarda… e forse anch’egli ti contempla, perso
nel fragile incanto del tuo universo.
Ed io oscillo, incerto tra il lucore
che popola di sogni foglie e rami
e l’orrido fuggire delle ore…
la polvere dei giorni, il suo carico di mali, e
la vita a scivolarci tra le mani.
Ambrosia nera dei silenzi insonni,
su altre labbra poserai, stillante
quando l’ultimo addio darò ai miei sogni –
e ancora il fiore, la torcia di un tuo ierofante
sola arderà nel buio più straziante.
NOTE
Sgolarsi di cristallo: espressione ripresa da Ungaretti.
Febo: un nome di Apollo, dio del Sole.
Il fiore di Cerere […] : ovvero il papavero, perché solito crescere nei campi di grano o sul loro limitare. La figura dello ierofante richiama il mito eleusino, i Misteri che solevano celebrarsi nell’omonima località greca.
PARC DU PHARO
Belvedere, à C.
Vento sui trifogli
silvidi e ruscelli d’etere
marino – il tuo profumo dove l’erba
scapiglia e la tua chioma sciolta,
mentre persa osservi e ti ricerchi nelle forme
sconfinate di sole
di Marsiglia. Nulla so
di me
di te
di noi – vorrei donarti
un anno e poi due mesi
un anno e poi due mesi
di amore e di coraggio
e libertà infinita.
ROMA AMOR
sive
La Passeggiata, Prima stesura di un cortometraggio poetico
(breve estratto)
Longumque vale…
Claudiano, De raptu Proserpinae
Scie chimiche notturne
comete d’acciaio e luci intermittenti
dei 747, gas di scarico
rifiuti lungo il margine dei campi –
lungo il margine dei campi
uno sporco materasso
tra la colza e i bassi arbusti,
una figlia della notte e il suo sgabello
ad ogni stop
in direzione Malagrotta,
ad ogni nuova ansa
della vecchia Aurelia… ma ne hai abbastanza
di rubare ore al sonno
e rigiocarle per azzardo
col traffico lontano ai sette colli
in soundtrack… ne hai abbastanza
di scorrazzare solitario
cospargendo del sale dei tuoi classici
i pascoli verdastri
della moderna Arcadia,
d’imputare il nostro male
alle muse post-atomiche
del tedio, del delirio
e l’impotenza – il vacuo coro
del significante. Caos
indigesto caos
oscuro fonte di rinascita…
l’intera stirpe nasce dal respiro
di un sol uomo – e lo spirito fermenta
nel dolore.
(...)
NOTE
Longumque vale: “addio, addio…”
***
ACCESSUS AD AUCTOREM
Le poesie qui raccolte sono state scritte nel periodo 2013-2017 e sono dunque già datate, in un certo senso.
Oltre ad una voce personalissima e inconfondibile, ogni autentico poeta ha un modo umanissimo e tutto suo di amare le cose – dunque di partecipare al loro divenire, alla loro vita e rovina. Nell’ascolto, nel dispiegarsi della sua voce noi ammiriamo, di un poeta, l’artista; nella progressiva comprensione di questo suo modo di amare le cose, noi vi riconosciamo l’uomo. I due aspetti sono di fatto indivisibili e si risolvono nello stile – quello che, nell’esistenza di un uomo-artista, testimonia in maniera tangibile di ciò che Agamben definisce forma-di-vita.
La parola Suite è stata scelta a tale proposito: nella sua classica accezione musicale, infatti, confluiscono sia l’unità lirica [voce] data dall’impiego di una stessa tonalità, sia il susseguirsi di tempi differenti [il divenire delle cose]. Per questo libro, il modello principale è Bach – in particolare, lo struggente preludio e il seguito della seconda suite per violoncello (BMW 1008). La parola mondi richiama il concetto di Weltlichkeit [mondità] heideggeriano; l’Altrove esprime questo ambiguo e lancinante anelito di conoscenza ed esperienza di mondi ‘altri’ [Welt, sempre nell’ottica del filosofo tedesco].
In ogni caso, per sviluppare al più alto grado questo amore per le cose, è necessario vivere profondamente, ovvero tragicamente – quindi jenseits von Gut und Böse, al di là del bene e del male. La conquista di una tale dimensione tragica dell’esistenza è, d’altronde, uno dei principali temi del libro. Tale conquista non porta né al cinismo, né a una vuota e sterile relatività dei valori, bensì ad un amore per l’appunto tragico verso quegli aspetti e valori, quelle manifestazioni della realtà cui il poeta si percepisce più strettamente legato: manifestazioni e valori storici, materiali, culturali, spirituali – il corpo organico di una tradizione. Quale essa sia, spero risulti più comprensibile dalla lettura dei testi stessi e dei riferimenti ai vari autori e filosofi citati nella raccolta.
Ich beschwöre euch, meine Brüder, bleibt der Erde treu.
Augsburg, Dicembre 2018
NOTE
“La forma-di-vita è […] una ‘maniera sorgiva’: non un essere che ha questa o quella proprietà o qualità, ma un essere che è il suo modo di essere, che è il suo scaturire ed è continuamente generato dalla sua ‘maniera’ di essere” (da L’uso dei corpi, G. Agamben; Per un’ontologia dello stile). Vi scongiuro, fratelli miei, restate fedeli alla Terra (da Also sprach Zarathustra, F. Nietzsche).
L'AUTORE
Francesco Zevio è nato a Valeggio sul Mincio, in provincia di Verona, nel 1992. Ha studiato a Padova (lettere moderne) e a Roma (Accademia Vivarium Novum), in Francia (Aix-Marseille Université) e in Germania (Universität Augsburg). Ha pubblicato la raccolta di versi Suite dei mondi(Robin Edizioni, 2019) e il libro Latino in cinque minuti (Gribaudo, 2019). Con il pianista e compositore Jozef F. Pjetri ha dato vita a Cultura in Atto, associazione culturale con sede a Padova. È inoltre cofondatore della compagnia di poesia, pantomima e musica Mime en Mi Mineur, attiva in tutta Europa. Oltre che con Cultura in Atto, ha esordito con Ritorno a Capo, collabora con la rivista Pangea, con Parentesi storiche, con AION-Linguisticae con il giornale online Ilsoleitaliano di Monaco di Baviera.
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