ITA/ENG
di Giulia Bolzan
Translation by Marta Mazzocut
Che cos’è realmente un Manifesto? mi sono chiesta dopo aver partecipato ad una mostra fotografica poco tempo fa. Facendo qualche ricerca è emerso che il suo “periodo di splendore” risulta esser stato quello al termine del 1800, in Francia, dove aveva seguito una doppia via: da una parte lo scopo pittorico (si veda l’opera di Toulouse-Lautrec) e dall’altra invece le esigenze pubblicitarie che includevano il cinema, il design e persino il settore industriale. Una strada simile compare anche nell’Italia del Dopoguerra dove tra i più geniali esponenti che ottengono notevoli riconoscimenti internazionali in tale ambito rientrano Bruno Munari e Armando Testa: il primo interessato anche a teoria, didattica e produzione artistica, il secondo fondatore dell’omonima agenzia pubblicitaria ed esponente originale della pubblicità moderna. Oggi, tuttavia, questa parola si è progressivamente allontanata dall’ambito filosofico-letterario inteso come un programma che tende ad avere scopi chiarificativi, persuasivi e illustrativi in merito ad uno specifico argomento o tema, soprattutto pare non rientrare più nel vocabolario degli italiani. Recentemente, però, sono venuta a conoscenza di due significativi Manifesti, differenti per carattere e obiettivi, ma allo stesso tempo affini per l’inusuale contenuto che esprimono e per la battaglia che entrambi conducono. Ai miei occhi la loro pare essere una vera e propria “rivoluzione del pensiero”, tracciata mediante un sapiente uso della parola scritta e da una costante ricerca d’andar oltre la realtà nel suo divenire e apparire agli occhi dei più. Il primo si fa chiamare MeP – Manifesto per l’emancipazione della Poesia, il secondo è di fatto un breve ma illuminante saggio di Gilles Clément intitolato Manifesto del Terzo paesaggio. Il collettivo apartitico menzionato per primo elimina censura, critica e qualsiasi forma di selezione testuale, e pare scaturire dall’esigenza di diffondere la poesia contemporanea estraniandosi dalle logiche consumistiche della società attuale, sfruttando ogni canale ritenuto idoneo e mantenendo comunque saldo il rispetto per ogni altra forma d’arte. Trovano principalmente nella strada il luogo ideale per la proliferazione creativa di quelle possibilità di dialogo, riflessione e continuo stupore che sono, appunto, le poesie. Senza una fissa linea tematica e stilistica, i militanti di questo movimento cercano di tenere in vita questa attività accompagnando viandanti, turisti, cittadini attraverso una inedita (nel vero e proprio senso della parola) e anonima (nessun componimento è firmato) proposta di lettura.
Perciò che concerne invece il docente e scrittore G. Clément e il suo Manifesto del Terzo paesaggio edito da Quodlibet (Edizione riaggiornata nel 2016), siamo di fronte ad una lista ragionata di caratteri e criteri con cui si prende in considerazione una tipologia di paesaggio che sta scomparendo. Nella pagina introduttiva di questo trattato leggiamo infatti che esso è «costituito dall’insieme dei luoghi abbandonati dall’uomo. Questi margini raccolgono una diversità biologica che non è a tutt’oggi rubricata come ricchezza»[1]. L’autore attraverso precedenti studi di botanica, giardinaggio, storia e architettura raccoglie nel breve ma intenso libro alcuni quesiti, proposte, studi e idee tentando di indurci a riflettere su quanto odiernamente le parole “ecologia” e “sostenibilità” si riducano a parole vuote, finalizzate quasi esclusivamente alla logica del mercato globale e non, invece, alla consapevolezza di un «giardino planetario», come lo chiama Clemént. Il giardino che si muove, tra spazio e tempo in dimensioni che possiamo definire sia biologiche che umane, risponde ciò nonostante ad esigenze proprie e, in un certo senso, sacre proprio per il loro valore intrinseco; qui diversità e identità culturale devono coincidere allo scopo di creare un nuovo equilibrio e valore in grado di estinguere quello che nel testo viene individuata come «l’accelerazione del degrado ambientale e l’imminenza di una possibile catastrofe».[2] In tal senso il termine Manifesto in questo specifico caso risulta pregnante poiché ciò che fa l’autore è mettere in luce in maniera ordinata, sequenziale, logica, rigorosa e via via sempre più approfondita il significato dell’espressione Terzo Paesaggio e le connessioni ambientali, etiche che esso comporta da un punto di vista sicuramente teorico, ma anche concreto, realizzabile. Dal Messico alla Palestina, passando per Lione e Lanzarote ed numerose altre località francesi, Clemént infatti ci riporta esempi di installazioni, mostre, complessi urbani e parchi in cui la biodiversità viene tutelata fino ad rappresentare «l’espressione stessa della vita, e come una delle componenti essenziali dell’evoluzione».[3]
Ecco dunque che nei casi presi in esame, le idee che muovono il pensiero di entrambi paiono non accontentarsi di ciò che la realtà pone davanti ai loro (e ai nostri) occhi; sia nel voler proporre un’alternativa al commercio che oggi si fa della poesia - nelle sue dimensioni editoriali attuali - sia nel sondare il profondo e autentico significato di paesaggio e ambiente in un mondo che sempre più pare accontentarsi di ciò che appare, il MeP e C. Clemént ci offrono la possibilità di andare oltre, esplorare nuove parole, nuovi gesti, nuovi studi, nuove strade.
NOTE
[1] GILLES CLEMÉNT, Manifesto del Terzo paesaggio, 2014, Edizioni Quodlibet, Macerata. [2] Ivi, p. 111. [3] Ivi, p. 69.
GILLES CLEMENT AND THE MeP: A REVOLUTION IN NATURE AND POETRY
What is a “Manifesto”?, I wondered a while ago, after taking part in a photo exhibition. I did some research and it emerged that, allegedly, its blooming time occured in France, at the end of the 19th Century. Scholars resorting to the Manifesto trod two different paths: they were pursuing a pictorial purpose (see the masterpieces by Toulouse-Lautrec) and they were attempting to meet the advertising needs of several sectors, such as the cinema and design industry and also the industrial sector itself. A similar intent also appears in post-war Italy: Bruno Munari and Armando Testa are among the most brilliant exponents who received significant international awards in this field. The former also developed an interest in teaching and art production; the latter founded the homonymous advertising agency; he also was the first exponent of modern advertising. Nowadays, however, the word “Manifesto” has progressively moved away from its philosophical and literary meaning, where it identified a programme tending to have clarifying, persuasive and illustrative purposes on a specific topic or theme. It seems, in fact, no longer to even fit into the vocabulary of Italians. However, I have recently become aware of two significant “Manifestos”, which are different in character and objectives, but at the same time similar in the unusual content they express and in the battle they both lead. In my eyes, they seem to be embracing a real "revolution of thought", traced through a wise use of the written language and a constant stuggle to go beyond reality in its evolution, to raise awareness among the most. The first is called MeP - Manifesto for the emancipation of Poetry, the second is in fact a short but illuminating essay by Gilles Clément entitled Manifesto of the Third Landscape. The former is a non-partisan collective who eliminates censorship, criticism and any form of textual selection. It seems to arise from the need to spread contemporary poetry by estranging themselves from the consumerist logic of nowadays’ society, exploiting every channel deemed suitable and yet paying respect for other forms of art. The ideal place to give vent to the creative proliferation of these means of dialogue, reflection and continuous amazement through poems is found on the streets. Having no fixed thematic and stylistic line, the militants of this movement try to keep this activity alive by accompanying travelers, tourists, citizens through an unprecedented (in the truest sense of the word) and anonymous (no poem is signed) reading proposal.
As far as the teacher and writer G. Clément and his Manifesto of the Third Landscape published by Quodlibet (Edition updated in 2016) is concerned, we are faced with a well-thought-out list of elements and criteria with which a type of landscape doomed to disappear is taken into consideration. In fact, the introductory page of this treatise reads: «[It is] made up of all the places abandoned by man». These margins collect a biological diversity which is not even classified as “wealth" yet. The author, through previous studies in the fields of botany, gardening, history and architecture, collects some questions, proposals, studies and ideas in this short but intense book, trying to induce us to reflect on how the words "ecology" and "sustainability" are reduced to empty words nowadays, aimed almost exclusively at the logic of the global market and not, instead, at the awareness of a "planetary garden", as Clemént calls it. The garden that moves between space and time in dimensions which we can define as both biological and human, nevertheless, responds to its own needs which are, in a certain way, sacred, precisely because of their intrinsic value; here diversity and cultural identity must coincide in order to create a new balance and value, capable of extinguishing what in the text is identified as "the acceleration of environmental degradation and the imminence of a possible catastrophe". In this sense, the term “Manifesto” is rich in meaning because what the author does is to highlight in an orderly, sequential, logical, rigorous and increasingly deeper way the meaning of the expression Third landscape and its environmental connections and ethics, from, an, of course, theoretical point of view, which, however is also tangible and achievable. From Mexico to Palestine, stepping through Lyon and Lanzarote and numerous other French locations, Clemént brings us examples of installations, exhibitions, urban complexes and parks in which biodiversity is protected to the point of representing "the very expression of life, as one of the essential components of evolution".
Thus, in the cases examined, both scholars with their core ideas do not seem to be satisfied with what reality places in front of their (and our) eyes. The MeP and C. Clemént offer us the chance to go further, to explore new words, new gestures, new studies, new paths, both by proposing an alternative to the trade characterising poetry nowadays - in its current editorial dimensions - and by probing the profound and authentic meaning of landscape and environment in a world which increasingly seems to settle for appearance.
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