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PASOLINI - GLI ULTIMI SOGNI PRIMA DI MORIRE

ITA/ENG



Pier Paolo Pasolini a Venezia nel 1962 / Farabola / Bridgeman Images


Caro amico mio, tutte le notti,

si stanno facendo lavori presso la mia casa

ci son grandi arnesi, stecconate, ci son garritte

poca roba per la verità, son lavori di comune amministrazione

Caro amico mio, rincasando, tutte le notti, o quasi,

davanti ai macchinari fermi, gialli al leggero vento

Spesso, davanti alla mia casa — è più alba che notte

Caro amico mio, quasi mi spavento, vedendo

camminare senza rumore, nella strada davanti a casa mia,

quando rincaso, che è più alba ormai che notte,

un’ombra che par vada senza piedi, o con pantofole,

col viso tutto coperto

Essa avanza grigia lungo il marciapiede

(o dall’altra parte della strada, lungo la stecconata

che protegge i lavori in corso, nel silenzio)

Caro amico, a cui scrivo perché sei lontano,

non son cose che si dicono a lettore

perduto nei suoi sogni

sono i nulla della vita cui solo gli amici sanno credere

Egli, l’ombra, coperta fino agli occhi, viene,

mi passa accanto, cammina senza rumore lungo la strada

ciò che lo copre non son veli di fantasma,

è soltanto lana che lo avvolge,

il povero custode delle macchine brancolanti nel silenzio.

E qui finisce l’introduzione.

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O miei occhi

Immensa è questa immagine, perché è una delle ultime

prima che io muoia —

sono il solo a vedere il malinconico deserto

cosparso, si sa, di misere forme

sono il solo a vedere poi la luce

che altro non è che azzurro notturno che sbiadisce

accendendosi di una sua speranza;

la stessa mia, che vago avanti e indietro

per vincere il sonno

è la pietà che mi veste di povera lana grigia

fino agli occhi, come un motociclista

o uno sciatore povero. Non sembro uno spettro, lo sono.

Il silenzio misterioso che è, nel mio aspetto

è anche dentro di me

ho solo le gambe vive, che mi portano su e giù

e gli occhi che vedono le ultime immagini della vita,

quelle che porterò con me nel giorno già deciso

La famiglia mi sa qui; contribuisco al nostro pane

la pietà dei famigliari e la mia mi segue

su e giù per questa strada, oh

miei occhi dove l’immensa immagine d’una piccola strada

su cui può soffiare il vento, qualche notte,

e qualche notte non c’è che il silenzio.

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O miei occhi,

forse perché ai vecchi si danno incarichi di ragazzi,

star svegli tutta la notte solo per sorvegliare,

voi che foste tutta la vita incapaci di vedere

ora per l’umiliazione rivelatrice, vedete

Di quante notti, io, guardiano, feci esperienza,

non desiderandolo, cercando di non vedere

andando su e giù come un fantasma,

negato all’aspetto come dentro di me a ogni rapporto,

che non fosse, s’intende, quella pietà

che mi vestiva e mi aveva dato il grado di custode

con la conscienza mia e della mia famiglia

Negandomi, dunque, passeggiavo

o miei occhi, che intanto guardavate

quelle notti. . . poco prima o poco dopo Pasqua,

ancora fredde che io affrontavo ben coperto

da una palandrana che mi arrivava fino ai piedi

e un passamontagna grigio

Inerte passavo davanti ai radi vivi

che rincasavano con la loro macchina

e mi perdevo senza voltarmi per il marciapiede,

o lungo il recinto sulla scarpata, verso il cantiere

Poi tornavo indietro, di nuovo solo,

cercando di non esistere (e ci sarei riuscito

se non ci fosse stata la pietà dei miei padroni

e quella dei miei famigliari):

mi appariva, allora, l’altra metà del firmamento.




 

LAST DREAMS BEFORE DYING




My dear friend, every night —

lately there’s work being done near my home

there are big contraptions, fences, sentry boxes

no big deal, really, normal administrative projects

My dear friend, when going home every night, or almost,

before the motionless machines, yellow in the gentle wind,

often, in front of my building — it’s more dawn than night

My dear friend, I almost get scared when I see

walking noiselessly in the street in front of my building

when I’m returning home and by then it’s more dawn than night,

a shadow that looks like it’s moving without feet, or in slippers,

face entirely covered

It advances gray along the sidewalk

(or across the street, along the fence

protecting the work site, in silence)

Dear friend, to whom I’m writing because you’re far away,

these are not the kinds of things one tells a reader

lost in his dreams

they’re the nothings of life only friends can believe

Covered up to his eyes, he, the shadow, comes forward,

passes beside me, walks noiselessly down the street

it’s not a ghost’s sheets covering him

he’s wrapped only in wool

poor guardian of the machines groping in the silence.

Here ends the introduction.

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O eyes of mine

This image is immense, because it’s one of the last

before I die —

I alone see the melancholy desert

strewn, as we know, with miserable forms

I alone then see the light

which is nothing more than the blue of night fading

as it kindles with a hope of its own;

the same as mine, as I wander back and forth

to fight off sleep

it’s pity that dresses me in poor gray wool

up to the eyes, like a motorcyclist

or an impoverished skier. I don’t look like a specter, I am one.

The mysterious silence in my appearance

is also inside me

only my legs are alive, taking me up and down

and my eyes, which see life’s final images,

the ones I shall take with me on the already determined day

The family knows I’m here; I help put bread on the table

their pity and my own follow me

up and down the street, oh

eyes of mine that see the vast image of a little street

where the wind may blow on some nights

and on some nights there is only silence.

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O eyes of mine,

perhaps because the old are given the tasks of youth,

staying awake all night just to keep watch,

you who all my life were unable to see

now, by revelatory humiliation, you can see —

How many nights have I, as guardian, experienced

without wanting to, trying not to see

walking up and down like a ghost,

denied in my appearance the way all rapport is denied me inside

except, of course, for the pity

that dressed me and gave me the rank of guardian

with my conscience and that of my family

Thus denying myself I used to stroll about

O eyes of mine, that meanwhile watched

those nights . . . shortly before or shortly after Easter,

nights still cold which I braved by covering up

in a housecoat that hung all the way down to my feet

and a gray ski mask

Lifeless I would pass in front of the few living souls

returning home in their cars

and wander off without turning round down the sidewalk

or along the fencing that ringed the slope, towards the work site

Then I would turn back, alone again,

trying not to exist (and I would have succeeded

if not for the pity of my bosses

and my family):

and at that moment, I would see the other half of the firmament.



Translated by Stephen Sartarelli


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