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Translation by Andrej Maksimovič
L’avevo visto una volta sola, all’Adelphi. Roberto Calasso. Un istante prima del suo arrivo – lui camminava svelto nel corridoio avvolto, chiuso in un cappotto scuro, il bavero sollevato – ricordo una improvvisa folata di vento gelido. Si era insinuata, come un brivido, nel corpo della casa editrice di via San Giovanni sul Muro, a Milano. Un silenzio pieno di parole faceva un tale rumore. E lui che mi ha salutato distrattamente, ma con un lieve sorriso. Non ho trovato le parole per parlare con lui del mio grande amore per Guido Morselli. Complice la mia età acerba, ero in soggezione. Quante volte, nella vita, ci accorgiamo di aver sciupato un incontro? Lo custodiamo immobile, fermo nell’archivio della memoria, come un privilegio e il ricordo di un peccato di timidezza, di gioventù. O, forse, è proprio il silenzio a rendere un incontro così importante, necessario. Quell’incontro, dicevo, si è cristallizzato nella mia memoria. Così, quando ho appreso della sua morte, avvenuta nella notte fra il 28 e il 29 luglio scorso, ho pensato che sì ha ragione Paolo Di Stefano che ha parlato (sul Corriere della Sera) dell’esistenza di «un Fato dell’editoria».
La morte di Roberto Calasso coincideva con l’uscita di due suoi libri autobiografici: Memè Scianca (che parla dei suoi anni a Firenze) e Bobi, dedicato al triestino Roberto Bazlen che creò, insieme a Luciano Foà e un Calasso ventunenne, la casa editrice Adelphi. Ne Il libro di tutti i libri (la decima parte di un’opera che ha avuto inizio con La rovina di Kasch, poi è proseguita con Le nozze di Cadmo e Armonia, Ka, K., Il rosa Tiepolo, La folie Baudelaire, L’ardore, Il Cacciatore Celeste e L'innominabile attuale), dove Calasso racconta una storia che comincia prima di Adamo e finisce dopo di noi attraversando la Bibbia, aveva inserito, all’inizio del volume, una citazione di Goethe: «Così, libro dopo libro, il libro di tutti i libri potrebbe mostrarci che ci è stato dato perché tentiamo di entrarvi come in un secondo mondo e lì ci smarriamo, ci illuminiamo e ci perfezioniamo». Questo cammino sembra riassumere il secondo mondo di una casa editrice luminosa come Adelphi. Roberto Calasso è scomparso d’estate, e io non potevo fare a meno di pensare che sempre a fine luglio – tra il 31 luglio e il primo agosto 1973 – nell’assolata estate varesina, si era tolto la vita quel Guido Morselli che proprio la casa editrice Adelphi aveva consacrato, iniziando a pubblicarne l’opera – postuma per antonomasia – dopo il suicidio. Anche Roberto Bazlen, del resto, era morto a luglio, il 27 luglio 1965. I libri; meglio non scriverli. Scrive Calasso in Bobi: «Se qualcuno mi chiedesse quale fu, in quei primi mesi, l’effetto maggiore che provocò in me Bazlen, dovrei dire: mi dissuase dallo scrivere». Andare oltre lo scrivere: «Il fatto stesso di scrivere era un ostacolo da superare il prima possibile, anche se quasi inevitabile per chi è giovane». C’era qualcos’altro. «Evidentemente doveva esserci qualcos’altro. Ma che cosa? Doveva essere qualcosa che soprattutto attraverso certi libri si manifestava. Dai libri si partiva e ai libri si tornava. A suo modo, era la migliore giustificazione di ciò che Bazlen faceva ogni giorno: parlare di libri, magari a un amico - e forse anche a un editore. Era un’attività che sapeva praticare fino in fondo una sola persona: Bazlen stesso». E il capolavoro di Bazlen - e anche di Roberto Calasso – è stata Adelphi. «L’opera compiuta di Bazlen fu Adelphi. Definibile con una frase che mi disse il giorno in cui me ne parlò – e Adelphi non aveva ancora il suo nome: Faremo solo libri che ci piacciono molto. Non occorreva di più. presto ci fu un ufficio nel cortile di un palazzo di via Morigi, dall’austero stile milanese, dove sedeva in permanenza Luciano Foà, insieme alla segretaria Donata». Adelphi, quindi, è stata un tempo «terra senza nome», prima di nascere. «Una casa editrice è fatta di sì, ma ancor più di no. E quei no possono venire da molto vicino, da qualcosa che può assimilarsi a noi stessi, se lo sguardo non sa riconoscere le piccole discrepanze fatali».
Ora che Roberto Calasso non c’è più, viene da chiedersi come definirlo, questo intellettuale enigmatico e affascinante, scrittore, saggista, editore. Ma la parola editore è stretta, non basta più per definire l’opera Adelphi, è come una porta angusta, dove non si passa facilmente, si viene presi dentro. E, a volte, ricacciati indietro. «Di qui non si passa: ci siamo già noi», avrebbe detto Guido Morselli, di fronte ai numerosi rifiuti editoriali di pubblicazione della sua opera ricevuti in vita. Già, Guido Morselli: non sono riuscita a parlare di lui con Calasso quella lontana volta. Allora riguardo una vecchia pellicola, è il 1983, il regista Alberto Buscaglia aveva realizzato un documentario per la Rai dal titolo Alla ricerca di Guido Morselli. Mando avanti il docufilm finché non ritrovo Lui, Roberto Calasso. Comodamente seduto, in un salotto pieno di libri, una posa dandy e aristocratico, sceglie le parole per raccontare i libri di Guido Morselli, pubblicati da Adelphi. «Molti si sono chiesti come Morselli sia arrivato a diventare il romanziere ormai noto e molti si sono chiesti anche qual è la storia della cultura di Morselli, come si è formata questa cultura, in quali direzioni, quali erano i suoi interessi. Ora, sulla base delle carte che Morselli ha lasciato, dei manoscritti che ancora non sono pubblicati, si può ricostruire un certo percorso, con una qualche chiarezza. Direi, per prima cosa, che Morselli ha cominciato a scrivere come saggista, cioè la scoperta del romanzo è una scoperta abbastanza tarda e diventa poi la sua “cosa” centrale proprio nell’attività degli ultimi anni, quando sono stati scritti, uno dopo l’altro, i sei romanzi poi pubblicati. Morselli, invece, come saggista e anche come giornalista, appare già negli anni Trenta, quando nelle carte si trovano anche i suoi articoli sui temi più disparati e poi incontriamo, negli anni Quaranta, due libri: uno è Realismo e fantasia, l’altro è il saggio su Proust, Proust o del sentimento, che sono due prove in due direzioni completamente diverse, di questo suo saggismo. E così, se procediamo nelle opere, negli scritti del dopoguerra, vediamo che ci sono delle fasi di grande interesse di Morselli per la teologia, per i problemi della teologia e di questo è testimone il libro Fede e Critica che abbiamo pubblicato.
Tutto questo è estremamente utile da conoscere in vista di quella che poi sarà l’attività centrale di Morselli, la sua vera vocazione, che è una vocazione di narratore. Perché, di fatto, anche se gli scritti saggistici di Morselli sono estremamente interessanti per le ragioni più diverse, per un curioso fenomeno, le sue idee, il suo modo di articolare le idee e il pensiero, vengono fuori molto meglio nei romanzi». Riprendo in mano Bobi, leggo: «Bazlen morì a Milano nel luglio 1965. Seguì un generale silenzio. Rotto il 6 agosto dalla voce più autorevole, quella di Eugenio Montale. Bazlen era apparso nella sua vita poco più di quarant’anni prima come una finestra spalancata su un mondo nuovo. […]». Nel silenzio generale, occorre sperare di trovare finestre spalancate, d’estate come d’inverno, le luci sempre accese, di una casa editrice.
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Linda Terziroli ha collaborato con la Provincia di Varese, Lombardia Nord-Ovest, Linkiesta e ha curato i libri dedicati allo scrittore Guido Morselli: "Lettere ritrovate" (Nem), "Una rivolta e altri scritti" (Bietti), "Guido Morselli un Gattopardo del Nord" (Macchione), il racconto inedito "Il Grande Incontro" (De Piante Editore). Nel 2019, ha pubblicato la biografia dello scrittore "Un pacchetto di Gauloises", per Castelvecchi. Nel maggio 2020 ha partecipato con un suo racconto inedito, "Il bambino in mongolfiera" al progetto editoriale "Aut libri aut liberi. Otto racconti al tempo della peste" (De Piante Editore) e a luglio 2020 ha pubblicato "La casa svedese" (Amazon, KDP). Insegna Lettere all’Istituto Anna Frank di Varese e scrive su Pangea.news e Houzz.it.
A PORTRAIT OF ROBERTO CALASSO
I had only seen him once, at Adelphi. Roberto Calasso. An instant before his arrival – he was walking briskly down the corridor wrapped up and closed in a dark coat, with his lapel turned up – I remember a sudden gust of icy wind. It had crept, like a shiver, into the body of the publishing house in Via San Giovanni sul Muro, Milan. A silence full of words made such a noise. And he, who greeted me distractedly but with a slight smile. I could not find the words to talk to him about my great love for Guido Morselli. Accomplice to my immature age, I was in awe. How many times in life do we realize that we have wasted an encounter? We keep it motionless, still in the archive of memory, as a privilege and a reminder of a sin of shyness, of youth. Or, perhaps, it is precisely the silence that makes an encounter so important, so necessary. That encounter, I was saying, crystallized in my memory. So, when I learned of his death, which occurred in the night of July 28-29, I thought that: yes Paolo Di Stefano, who spoke (in Corriere della Sera) of the existence of «a Fate of publishing», is right.
Roberto Calasso's death coincided with the release of two of his autobiographical books, Memè Scianca (about his years in Florence) and Bobi, dedicated to the Triestine Roberto Bazlen who created, together with Luciano Foà and a 21-year-old Calasso, the publishing house Adelphi. In The Book of All Books (the tenth part of a work that began with The Ruin of Kasch, and then continued with The Marriage of Cadmus and Harmony, Ka, K., The Pink Tiepolo, La folie Baudelaire, Ardor, The Celestial Hunter and The Unnamable Present), where Calasso tells a story that begins before Adam and ends after us by traversing the Bible, he had included, at the beginning of the volume, a quote from Goethe: «Thus, book after book, the book of all books could show us that it has been given to us so that we may attempt to enter it as if in a second world and there we go astray, enlighten and perfect ourselves». This path seems to sum up the second world of a luminous publishing house like Adelphi. Roberto Calasso passed away in the summer, and I could not help but think that also at the end of July – between July 31 and August 1 1973 – in the sunny summer of Varese, Guido Morselli; whom Adelphi itself, by starting to publish his quintessential posthumous work, after his suicide, had consecrated; had taken his own life. Roberto Bazlen, after all, had also died in July, on July 27, 1965. The books; better not to write them. Calasso writes in Bobi: «If someone were to ask me what was, in those early months, the greatest effect Bazlen caused in me, I would have to say: he dissuaded me from writing». Going beyond writing: «The very fact of writing was an obstacle to be overcome as soon as possible, though almost inevitable for someone who is young». There was something else. «Evidently there had to be something else. But what was it? It had to be something that especially through certain books manifested itself. From books one departed and to books one returned. In its own way, it was the best justification for what Bazlen did every day: talk about books, perhaps to a friend – and maybe even to a publisher. It was an activity that only one person knew how to practice to the fullest: Bazlen himself». And Bazlen's – and also Roberto Calasso's – masterpiece was Adelphi. «Bazlen's accomplished work was Adelphi; which one can define with a sentence he said to me the day he told me about it – and Adelphi did not yet have its name: We will only make books that we like very much. There was no need for more. soon there was an office in the courtyard of a building on Via Morigi, with an austere Milanese style, where Luciano Foà sat permanently, together with his secretary Donata». Adelphi therefore was once a «land without a name», before it was born. «A publishing house is made of yeses, but even more of noes. And those noes can come from very close by, from something that can assimilate into ourselves if the gaze fails to recognize the small fatal discrepancies».
Now that Roberto Calasso is gone, one wonders what to call him, this enigmatic and fascinating intellectual, writer, essayist, editor. But the word publisher is narrow, it is no longer enough to define Adelphi's work, it is like a narrow door, where one does not pass easily, one is caught inside. And, at times, thrown back. «No way through here: it’s already us who run the place», Guido Morselli would have said, dealing with the numerous editorial rejections of publishing his work he received in his lifetime. Yes, Guido Morselli: I couldn't bring myself to talk to Calasso about him at that now so distant time. Therefore i watch an old film, it was 1983, director Alberto Buscaglia had made a documentary for RAI entitled In Search of Guido Morselli. I fast forward the docufilm until I find Him, Roberto Calasso. Comfortably seated in a living room full of books, a dandy, aristocratic pose, he chooses words to tell about Guido Morselli's books, published by Adelphi. «Many have wondered how Morselli came to be the now well-known novelist, and many have also wondered what the history of Morselli's culture is, how this culture was formed, in what directions, what his interests were. Now, based on the papers that Morselli left behind, the manuscripts that are still unpublished, a certain path can be reconstructed, with some clarity. I would say, first of all, that Morselli began writing as an essayist, so the discovery of the novel was a fairly late discovery wich became his central “thing” precisely in the activity of the last few years, when the six novels that were later published were written, one after the other. Morselli, on the other hand, as an essayist and also as a journalist, appeared as early as the 1930s, when in the papers one could find his articles on the most disparate topics, and then we encounter, in the 1940s, two books: one is Realism and Fantasy, the other is the essay on Proust, Proust or On Sentiment, which are two proofs in two completely different directions, of this essayism of his. And so, if we proceed in the works, in the postwar writings, we see that there are phases of Morselli's great interest in theology, in the problems of theology, and this is witnessed in the book Faith and Critic that we published.
All of this is extremely useful to know, in view of what would later be Morselli's central activity, his real vocation, which is a vocation as a storyteller. Because, in fact, although Morselli's nonfiction writings are extremely interesting for the most diverse reasons, for a curious phenomenon, his ideas, his way of articulating ideas and thought, come out much better in the novels». Picking up Bobi again, I read, «Bazlen died in Milan in July 1965. A general silence followed. Broken on August 6 by the most authoritative voice, that of Eugenio Montale. Bazlen had appeared in his life a little more than forty years earlier as a wide-open window on a new world. [...]». In the general silence, one must hope to find windows wide open, in summer as in winter, the lights always on, of a publishing house.
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Linda Terziroli collaborated with Provincia di Varese, Lombardia Nord-Ovest, Linkiesta and edited the books dedicated to the writer Guido Morselli: "Lettere ritrovate" (Nem), "Una rivolta e altri scritti" (Bietti), "Guido Morselli un Gattopardo del Nord" (Macchione), the unpublished story "Il Grande Incontro" (De Piante Editore). In 2019, she published the writer's biography "Un pacchetto di Gauloises", for Castelvecchi. In May 2020, she participated with one of her unpublished short stories, "Il bambino in mongolfiera" in the publishing project ‘Aut libri aut liberi. "Aut libri aut liberi. Otto racconti al tempo della peste" (De Piante Editore) and in July 2020 she published “The Swedish House” (Amazon, KDP). She teaches Literature at the Anna Frank Institute in Varese and writes on Pangea.news and Houzz.it.
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