BEL ESPRIT - ARTIUM SODALITAS
Introduzione a cura di A.M.
Non è compito mio parlare di testi altrui, ed è un crimine appesantire l’arte con spiegazioni, critiche o chissà che altro: sono qui soltanto per mettere in guardia la coscienza del lettore. I testi qui pubblicati sono divisi in due sezioni, in quanto si tratta di due opposte esperienze della poesia.
Nelle profondità più vaghe, impersonali, sembra risiedere il fulcro della persona: questa paradosso è il centro delle poesie inedite di Ilaria Palomba. Per chi creda in tali contraddizioni, leggere può significare soltanto annegare, ripetere la stessa operazione di disgregazione dell’autrice, e non mai decifrare i segni fonetici del testo. Queste ultime poesie siano uno spartito, dettino il ritmo del vostro squartamento sciamanico: non comprendete, non chiedete. Il pensiero è sacrificato per la voce, e nella voce ci si deve perdere: solo allora avranno un senso. Il loro processo è automatico: lo sia la lettura, sia essa abbandono. I testi siano una guida nel sacrificio dell’io, del pensiero, il sacrificio in nome di una voce più profonda, dove risiede il vero spessore dell’articolazione di quella voce. Il compito di queste poesie, frammentarie nella forma, è quello di sottrarre, di togliere. Se nei Microcosmi, nella prima sezione, l’onirico già parla, emergendo come un grido, tendendo a un posto nella comprensione perché motivato dalla volontà personale; nelle poesie inedite, l’onirico appare solo come conseguenza della sottrazione: il sogno è la meta, non il punto di partenza: se i Microcosmi sono rappresentazione del sogno, le poesie inedite hanno il compito di far sprofondare, nel sogno. La rappresentazione è letteratura, volontà personale; la sottrazione è gesto linguistico vivo, perché è tolta la luce che le stelle brillano, e solo con le costellazioni il marinaio si orienta nell’abisso, verso un porto: per chi viaggia, solo nella notte vi è speranza di vita, solo nella notte è possibile una figurazione dello spazio circostante e dunque del proprio moto, delle proprie possibilità. La lettura della seconda sezione è possibile solo nella sincronia con la scrittura, con l’annullamento della scissione fra autore e lettore, dello scarto temporale fra la creazione e la ricezione: la vera lettura non può che essere fratellanza nella dissoluzione, tramonto. L’alba non è tuttavia promessa; e in questo vuoto aperto, questo profondo dove regna la caduta più che il fondo, solo ritrovare la voce al di là dei segni potrà volgere il negativo nell’essere.
A.M.
Due poesie tratte da Microcosmi (Ensemble, 2022)
Io sono abitata da diecimila
demoni di diecimila mondi
di diecimila parti di me e di
te. Rebis. Vecchia come la
terra, giovane come l’aria,
nata ora dal tuono, la mente
perfetta. Demone, reticolo di
di vite - mie tue - incrociano,
scindono il fuoco. Rito,
nella mente estroflessa
della mia feconda infecondità,
intrappolata nell’ossessione
di aver lasciato una parte
a ogni uomo, di aver ceduto
la morte di ogni parte all’uomo
che è donna. Primordiale caos
senza uscita, trappola mortale,
dieci anni nello specchio. Ti
ho odiato, non hai saputo
proteggermi. Avrei potuto
distruggerti, se lei avesse
voluto oltrepassarmi. Dimmi
ora chi è quella donna che
mi guarda nello specchio,
che non mi somiglia ma ti
somiglia, che non m’inganna
ma t’inganna, illusa di uscirne.
Rifiuta l’amore per ancorarsi a
un pensiero che non vuole finire.
Rivendico tutto sotto il mio dominio.
Riprendo le parti smarrite.
La stanza è una foresta, tu ridi di
tutto, io di nulla. Alterati, smascherati.
Siamo noi, ora, oltre la terra, nel rito
del tuono. Torniamo all’aurora,
nel cielo marmoreo, torniamo
nel ventre. Schiudiamo diecimila
demoni, li attraversiamo
nella carne. Nessuna prigione.
Trascorre l’ombra, i demoni
si sfaldano in angeli.
*
Cosa sei in me?
Parabola che non so decifrare,
melopea spettrale. Nel buio
della stanza ho lasciato i libri
accatastati, segni sradicati dal
suolo: origine, presenza di
cui manco. Minervino innevata
cresceva nell’assenza,
mi riconoscevo antica, nel
pozzo di Canosa ritrovavo
l’acqua densa di memoria,
la donna della quinta prigione
cammina esangue fino alla fonte,
scompare, pietrificata dall’acqua.
Li chiamano fantasmi ma
sono ancora vivi. Le case
vuote, scarne. Afrore di carne.
L’assente. Ripieghiamo cento lenzuola,
mia madre appare la notte
nelle crepe del muro. Anche lei è stata
un tempo limpida, mansueta e dopo
ha preso fuoco, la gonna a fiori: un rogo.
E nel suo corpo il mio annega
allagato al ventre:
la grande assassina.
Poesie inedite
Andammo alla foce di ogni fiume
a ritrovare smarrimenti.
Nessuna linea tra il prima e l’ora,
nessun ardimento.
Il serto, tutta l’acqua in gola,
l’inizio di un corpo.
Trascinammo piccoli rami
nella terra, nel bosco.
Tornammo alla fonte senza
voce. Non tornammo.
*
Devi recidere ogni ramo,
non lasciare scoperto
neanche un lembo.
Resta nella ferita,
lascia all’Angelo l’arbitrio.
Saremo stelle nella notte,
creature d’acqua.
Lascia sia lui
oltre i regni,
nella tenebra accecante.
*
Cosa se non il margine?
Nessuna presenza.
Voce gracile dall’altra parete.
Non son degna del mondo,
ma prendo l’amore sognato,
ne faccio una culla
e non chiedo
di svegliarmi.
La veglia è guardare
in fondo al corpo,
riconoscersi insaturi,
rivelarsi orrori.
Preferisco nascondermi
e non lasciar essere
l’assenza, mia gemella.
*
Non indugiare, amore, non
lasciarmi nella morte, questa
sgraziata parola. A me resta
il frammento, la parola
murata nel riverbero.
La parola e
nessuna forma, solo
un grondare senza
tempo. L’idea di
morire, morire ancora,
o assecondare il monito,
dirsi miliardi di volte: guarda
ora la luna ha il colore del fuoco.
*
Non dire non esisto e non bruciare
nei vicoli vicini vibranti vado viva
e non potrò urlare quanto sia stanca
traccia del sole le dita raccolgono
non lasciarmi non andare ora non
donarti alla nuda luce del mare
non sapere della terra non tremare
nelle sue lacrime non cedere al
rumore di una città sepolcrale e
sappi poi insegnarmi a non morire.
Ilaria Palomba è una scrittrice, poetessa e saggista. Ha pubblicato i romanzi: Fatti male (Gaffi; tradotto in tedesco per Aufbau-Verlag), Homo homini virus (Meridiano Zero; Premio Carver 2015), Una volta l’estate (Meridiano Zero), Disturbi di luminosità (Gaffi; da cui lo spettacolo teatrale Disturbi, con regia di Olivia Balzar, andato in scena all'Ivelise di Roma nel novembre 2019), Brama (Perrone), Terrafelice (https://romanzionlinefree.blogspot.com/2021/11/terrafelice.html?m=1, tradotto in bosniaco), Vuoto (Les Flaneurs); le sillogi: Mancanza, Deserto (Premio Profumi di poesia 2018), Città metafisiche (Ensemble), Microcosmi (Ensemble, premio Semeria casinò di Sanremo 2021; Premio Speciale Virginia Woolf del Premio Nabokov); il saggio: Io Sono un'opera d'arte, viaggio nel mondo della performance art (Dal Sud). Ha scritto per La Gazzetta del Mezzogiorno, Minima et Moralia, Pangea, Succedeoggi. Ha fondato il blog letterario Suite italiana, collabora con La Fionda, Inverso e Le città delle donne.
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"In occasione del Premio Strega Poesia, dichiaratamente istituito sull’onda delle vendite, lanciamo questa petizione per raccogliere voci dissidenti..."
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