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DEPRESSIONE E CARDIOPATIA: UNA RELAZIONE PERICOLOSA

Aggiornamento: 17 gen 2021

di Elisabetta Cremonese


Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), malattie cardiovascolari e depressione sono attualmente le due più comuni cause di disabilità nei paesi ad alto reddito, per questo c’è un crescente accordo sul fatto che siano tra loro connesse. Tra i disturbi psicologici e psicosociali studiati nell'ambito dei disturbi cardiovascolari, lo sviluppo della depressione è, per questo motivo, il più diffuso ed il maggiormente supportato da prove epidemiologiche.


IL CUORE E LE CARDIOPATIE


Il cuore è costituito da cellule muscolari cardiache contenenti numerosi mitocondri, organelli aerobi che assicurano un funzionamento efficiente della cellula e dell’organismo attraverso la trasformazione dell’ossigeno nella valuta energetica della cellula, l’adenosina trifosfato (ATP), attraverso il processo di respirazione cellulare. La grande quantità di mitocondri nelle cellule cardiache indica quanto il ruolo dell’ossigeno sia fondamentale per il regolare funzionamento di questo muscolo, in particolare per generare l’energia necessaria per le contrazioni. Il cuore riceve il sangue attraverso la circolazione coronarica (arterie e vene coronarie), in particolare durante la diastole si ha un flusso arterioso coronarico maggiore. L’adeguatezza

del flusso coronarico è relativa alla richiesta di ossigeno da parte del cuore. In un cuore sano il flusso sanguigno coronarico aumenta all'aumentare della richiesta di ossigeno. In presenza di una specifica patologia l’apporto di sangue e ossigeno al cuore potrebbe essere insufficiente. In queste condizioni si parla di cardiopatia ischemica. La causa principale della cardiopatia ischemica può essere una coronaropatia, ovvero una patologia delle pareti delle arterie coronarie che riduce il flusso di sangue al cuore attraverso questi vasi. Potenzialmente una coronaropatia può provocare un infarto del miocardio attraverso tre meccanismi: uno spasmo vascolare, lo sviluppo dell’aterosclerosi oppure una tromboembolia (Sherwood, 2012).

Rappresentazione di una placca aterosclerotica in un vaso coronarico (tratta dal manuale “Fondamenti di fisiologia umana” di Sherwood L., quarta edizione, 2012)


LA COMPLESSA RELAZIONE TRA DEPRESSIONE E CARDIOPATIA

Negli ultimi quarant'anni, la ricerca ha portano innumerevoli prove a favore dell’ipotesi secondo cui la relazione tra l’attività cardiaca e il tono dell’umore sia molto stretta. Vi sono evidenze che riconoscono nella depressione un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, come pure è stato più volte segnalato che una malattia cardiovascolare possa essere causa di depressione (Lugoboni, Quaglio, Mezzelani & Lechi, 2005). Viceversa, dopo un infarto il rischio di un episodio depressivo può aumentare. D’altra parte, un tono dell’umore depresso è tipicamente esperito come reazione a malattie o operazioni percepite come minacciose e pericolose per la propria vita e il proprio benessere. Inoltre, lo sviluppo di un disturbo depressivo in pazienti cardiopatici è predittivo non solo di una prognosi peggiore ma anche di un aumento di nuovi ricoveri e di mortalità.


I FATTORI E I MECCANISMI SOTTOSTANTI LA RELAZIONE TRA DEPRESSIONE E CARDIOPATIA

Per tentare di dare una spiegazione alla complessa relazione tra depressione e cardiopatia è necessario analizzare ad uno ad uno i diversi meccanismi sottostanti alla relazione. Per avere una visione semplificata di

questa relazione è possibile fare riferimento allo schema tratto da una revisione di Hare et al. (2014), qui sotto riportato.


Rappresentazione sintetica della relazione tra depressione e disturbi cardiovascolari e dei potenziali fattori che la regolano (adattata da Hare & al., 2014).


Potenziali meccanismi biologici


I meccanismi biologici alla base della depressione come fattore di rischio per le malattie cardiovascolari sono ancora oggetto di discussione. Tra questi, quelli che sembrerebbero spiegare la relazione tra depressione e malattie cardiovascolari sono: la risposta infiammatoria, la disfunzione endoteliale, l’incremento dell’aggregazione piastrinica, gli elevati livelli di catecolammine e la disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisisurrene (HPA), tuttavia le maggiori evidenze scientifiche sono a favore di una disregolazione del sistema nervoso autonomo (SNA) come uno dei meccanismi fisiologici più plausibili.

Il sistema nervoso autonomo è costituito da neuroni che innervano gli organi interni, i vasi sanguigni e le ghiandole ed è controllato dalla zona periventricolare dell’ipotalamo. L’ “autonomia” di questo sistema si riferisce al fatto che le sue funzioni avvengono principalmente senza il controllo cosciente o volontario. Viene tradizionalmente suddiviso in sistema nervoso simpatico e sistema nervoso parasimpatico. Il sistema simpatico domina le situazioni di emergenza o stress (“lotta-ofuggi”) mentre il sistema parasimpatico è predominante nelle situazioni di quiete e tranquillità (“riposo-e-digestione”). Entrambi i sistemi sono sempre in azione in una sorta di equilibrio che consente all'organismo di mantenere costante l’ambiente interno. Molti organi viscerali sono innervati da fibre sia simpatiche che parasimpatiche che in genere producono effetti opposti sull’organo che innervano. La doppia innervazione permette di avere un controllo preciso sull’attività dell’organo. Per esempio, a livello cardiaco il SNA è prevalente nella sua componente simpatica che si occupa principalmente di modificare la frequenza cardiaca attraverso la via ormonale; la componente simpatica invece riduce, quando è opportuno, la frequenza di lavoro del muscolo cardiaco. Una misura che ci permette di studiare sia l’attività simpatica che l’attività parasimpatica, e quindi la funzionalità del sistema nervoso autonomo, è la variabilità della frequenza cardiaca (Heart Rate Variability, HRV). Maggiore è la variabilità inter-battito, migliore è il livello di efficienza dell’autoregolazione emozionale e la capacità dell’individuo di adattarsi agli stimoli ambientali. Questo indice in particolare misura la funzionalità del tono vagale nel regolare l’attività del SNA in caso di stress. È stato dimostrato che pazienti cardiopatici depressi hanno una variabilità inter-battito significativamente minore, in particolare un alterato tono vagale cardiaco, nel momento della dimissione dall'ospedale rispetto a pazienti cardiopatici non depressi. Un aumento di questa variabilità riflette uno stato ottimale di salute del SNA, che risulta in grado di fronteggiare il cambiamento delle circostanze ambientali. Al contrario, un decremento della variabilità inter-battito è un segnale di inflessibilità del SNA, che può precedere diversi problemi sistemici come l’aterosclerosi infiammatorio-mediata e la fibrillazione ventricolare, ma essere anche predittiva di problemi psicologici come la disregolazione emotiva.


Potenziali meccanismi comportamentali


Nella relazione tra depressone e disturbi cardiovascolari è necessario tenere in considerazione anche delle abitudini comportamentali rischiose come ad esempio l’obesità, l’inattività e l’abuso di sostanze. È stato dimostrato che, in pazienti cardiopatici, l’esercizio aerobico sembrerebbe avere un impatto simile agli antidepressivi nel ridurre la depressione (Hare et al., 2014).


Sensazione di perdita (non necessariamente attuale)


Un forte senso di perdita, disperazione, tristezza e ritiro dalle attività quotidiane sono sintomi di uno stato depressivo. A quanto emerge da studi prospettici una consistente percentuale di soggetti riferisce di aver fatto esperienza di un evento fortemente stressante nell'anno che ha preceduto l’esordio dei sintomi depressivi. Tra gli eventi riportati i più comuni erano la perdita del lavoro, di un’amicizia o del partner. Quindi, la perdita di qualcosa di significativo sia esso una persona come anche la percezione di salute, lo status socioeconomico o una lunga aspettativa di vita, può essere considerata una delle cause concomitanti nell'instaurarsi di un disturbo depressivo. Tuttavia, è bene tenere in considerazione che la perdita che elicita i sintomi della depressione, infatti, non è sempre chiara e definita per l’osservatore.


Potenziali fattori psicosociali e demografici


Ad influenzare i meccanismi biologici, comportamentali e il senso di perdita ci sono fattori psicosociali come ad esempio una storia di depressione antecedente, ansia, disturbi di personalità, isolamento sociale, lutto; e fattori demografici come l’età, il sesso, lo status socioeconomico e la disoccupazione. Studi longitudinali su pazienti cardiopatici hanno confermato la forte associazione tra depressione e qualità della vita (Hare et al., 2014).






BIBLIOGRAFIA

  • Bear, M. F., Connors, B. W., & Paradiso, M. A. (2016). Neuroscience: Exploring the Brain (4th ed.). Wolters Kluwer.

  • Hare, D. L., Toukhsati, S. R., Johansson, P., & Jaarsma, T. (2014). Depression and cardiovascular disease: A clinical review. European Heart Journal, 35(21), 1365–1372. https://doi.org/10.1093/eurheartj/eht462

  • Lugoboni, F., Quaglio, G., Mezzelani, P., & Lechi, A. (2005). La depressione nel paziente con patologia cardiovascolare. Annali Italiani Di Medicina Interna, 20(4), 224–232.

  • Kring, A. M., Johnson, S. L., Davidson, G. C., & Neale, J. M. (2016). Abnormal psychology (13th ed.). John Wiley & Sons.

  • Sherwood, L. (2012). Fundamentals of Human Physiology (quarta ed.). BooksCole, a Cengage Learning Company.

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