di Francesco Zevio
LINK ALL'ARTICOLO DI MASSIMO FINI: https://infosannio.com/2020/11/03/massimo-fini-il-sommo-alighieri-e-il-piccolo-dante/?fbclid=IwAR2P-18p2T8yDAW5pilXYBB1Algs1Ln347wsGvYHlQTDiJZaDYQItTGlOrg
[…] non ragioniam di lor, ma guarda e passa.
Dante, Inf. II
"Such shameless bards we have, and yet 'tis true
There are as mad, abandon'd critics too."
Pope/Byron
"Abbiamo poeti tanto svergognati, e nondimeno
critici e recensori, beh... non sono da meno"
Ad essere sinceri fino in fondo, si potrebbe rispondere a questo articolo anche soltanto offrendo all’intelligenza del lettore il seguente passo, tratto da Ortega y Gasset:
Il fatto caratteristico del momento è che l’anima volgare, riconoscendosi volgare, ha l’audacia di affermare il diritto della volgarità e lo impone dappertutto.
Quanto segue è un muto, stanco, esausto pasticciaccio d’indignazione per un certo modo di fare e di pensare. Le parti virgolettate sono tratte dall’articolo allegato.
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“Povertà umana del Sommo Poeta”? Ah! Quanto e quale sollievo cognitivo sono in grado di trasmettere le persone capaci di giudicare con tanta sicurezza chi visse settecento anni prima di loro!
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Dante era “un uomo vendicativo”. Lo dimostra il fatto che piazzi all’Inferno, tra gli altri, chi gli abbia fatto qualche torto… ma fosse finita qui! Oltre che vendicativo, Dante era anche “irriconoscente,” perché all’Inferno ci piazza pure chi l’ha aiutato. Dante fa infatti “grandi concioni sulla pietas […] ma non ne ha nessuna per i suoi avversari” (varrà forse la pena far notare che, con questa frase, il giornalista dimostra di non avere alcuna cognizione del termine latino pietas).
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Generazioni di interpreti e l’autore stesso ci avvisano che la Commedia è fondata su un impianto allegorico e una lettura a quattro livelli di significato? Che importa! “I simbolismi della Commedia ci sono, ma per noi hanno ormai uno scarso significato…” è dunque lecito supporre, letto il primo terzo dell’opera e tralasciato tutto il resto, che Dante fosse “un moralista insopportabile.”
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I simbolismi hanno per noi uno scarso significato? E allora leggiamo e interpretiamo l’opera secondo i nostri ordini di valori, con gli occhiali a lenti arcobaleno del kantismo postmoderno 4.0.… e soprattutto giudichiamola, giudichiamola e scriviamoci articoli, via! – rigurgitiamo un po’ di fagiani e ananassi (cit. Majakowskij) su un’opera che ha attraversato secoli e secoli di Storia, così da guadagnarci un altro pezzo di pagnotta e tirare avanti un altro giorno… via!
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Via! Via… eppure non riesco a non pensare che, se il critico o giornalista o pennivendolo di turno non compie lo sforzo di creare egli stesso l’opera di cui scrive, debba almeno compiere quello di fruirla come l’autore ha avuto cura di indicare: e non bastirci sopra una lettura a partire da uno spunto di Nietzsche su cui non siamo nemmeno sicuri abbia riflettuto.
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Che rifletta anche su quest’altro spunto, tratto da una poesia di Victor Hugo intitolata Après une lecture de Dante e che non ho voglia di tradurre:
Quand le poète peint l’enfer, il peint sa vie –
Sa vie, ombre qui fuit de spectres poursuivie,
Forêt mystérieuse où ses pas effrayés
S’égarent à tâtons hors des chemins frayés,
Noir voyage obstrué de rencontres difformes,
Spirale aux bords douteux, aux profondeurs énormes,
Dont les cercles hideux vont toujours plus avant
Dans une ombre où se meut l’enfer vague et vivant !
E che rifletta magari anche sul resto della poesia.
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Manicheo è chi non si sforza di comprendere la complessità del mondo: chi giudica pur non essendo cognitivamente in grado di affrontare le contraddizioni che ci consegnano una personalità, un’opera, una vicenda umana.
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(Ah sì, per il nostro giornalista: Francesco Cavalcanti non è Cavalcante Cavalcanti).
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